| Tanti elogi da Walter Lowenfel da ''Storie doi ordinaria follia'' di Charles Bukowski
si scrollò di dosso i fumi della sbornia e si alzò dal letto per andare ad aprire, erano loro: la donna e la bambina, aprì la porta e la bimba corse dentro, seguita dalla donna, venivano dal Nuovo Messico. avevano fatto solo una sosta, da Big Billy la lesbica, la bambina saltò sul divano, e giocarono al gioco di guarda-chi-si-rivede. era bello rivedere la bambina, era maledettamente bello rivederla. "Tina ha un'infezione al piede, sono preoccupata, ero come in una nebbia per due giorni e, quando ne sono uscita, ci aveva quell'affare, lì, sull'alluce." "gli dovevi far portare le scarpe in quella stalla." "che vuoi che sia! TUTTO IL MONDO È UNA STALLA!" ella disse. era una donna che raramente si pettinava, vestiva di nero per protesta contro la guerra, non mangiava uva quando i vignaioli erano in sciopero, era una comunista, scriveva poesie, prendeva parte a love-ins, fabbricava portacenere di creta, fumava e beveva caffè in continuazione, riceveva vari assegni da sua madre ed ex mariti, viveva con vari uomini e le piaceva spalmare marmellata di fragole sul pane bruscato. i figli erano la sua arma e ne faceva uno dietro l'altro per sua difesa, solo che lui non riusciva a capacitarsi come un uomo potesse andar a letto con costei, anche se evidentemente era successo pure a lui, e dar la colpa alla sbornia era una scusa di merda, in ogni caso non sarebbe mai più riuscito a sborniarsi a tal punto, in sostanza, quella donna gli faceva pensare a un fanatico religioso alla rovescia: lei non poteva mai essere nel torto, mi capite, perchè le sue idee erano quelle giuste: era contro la guerra e per l'amore, era per Carlo Marx e via discorrendo, non credeva neanche nel LAVORO, lei, no. ma del resto chi ci crede? non aveva mai lavorato, tranne verso la fine della guerra, quando era entrata nel Corpo Ausiliare Femminile per salvare il mondo da quel mostro che metteva la gente nei forni: Adolf Hitler, ma, intellettualmente, quella era una buona guerra, mi capite, e adesso lei metteva lui nel forno. "ma chiama il dottore, perdio!" conosceva il suo medico curante e gli telefonò subito, per qualcosa era buona, poi riattaccò col caffè e le sigarette e i discorsi sulla comune in cui viveva là nel Nuovo Messico. "sulla porta del cesso qualcuno, laggiù, ci ha attaccato quella tua poesia intitolata IL CACATORE. e c'è un vecchio imbriagone, là da noi, Eli, ha 60 anni, è sempre sbronzo, è lui che munge la capra." cercava di fargli apparire umana la comune, per attirarlo in quella trappola, fra le mosche e le zanzare, strapparlo alla sua solitudine e alle tranquille bevute e alle corse di cavalli, poi laggiù gli sarebbe toccato star lì a guardare quei deficienti che se la scopavano, mica avrebbe provato il morso della gelosia, macché, si sarebbe solo sentito sopraffare dalla nausea, dall'orrore, alla vista di gente meccanica che compie un atto meccanico, cercando di infondere un po' di vita alle loro anime di cemento con qualche schizzo di sborra. "no no," le disse, "se venissi laggiù, fra la polvere e la merda delle galline, dopo un po' mi metterei a urlare, o troverei la maniera d'ammazzarmi." "Eli ti piacerebbe, è ubriaco anche lui dalla mattina alla sera." lui scagliò il barattolo di birra vuoto nel cestino della cartaccia, "un ubriacone di 60 anni lo trovo da qualsiasi parte, o sennò, basta che aspetto 12 anni, se campo." non essendo riuscita a convincerlo, tornò al caffè e alle sigarette ribollendo di rabbia, d'una specie di furia segreta e indifferente insieme: se credete che una cosa così non esiste, beh, non conoscete la signora Antiguerra Filamore, la signora Chescrivepoesie, la signora che siede alla turca su una stuoia in una cerchia d'amici a sparare fregnacce.
...era mercoledì e lui andò a LAVORARE quella sera, mentre essa andava, con la bambina, in una libreria lì vicino dove certa gente si leggevano le loro poesie a vicenda, ce n'erano un sacco di posti simili a Los Angeles. uomini e donne che scrivevano roba che non valeva un cazzo di canbarbone andavano là a leggersi i loro versi e a farsi gran complimenti a vicenda, era una specie di pugnetta collettiva spirituale, per chi non aveva altro dalla vita, dieci persone possono radunarsi e leccarsi l'un l'altra il culo, ma il busillis è trovare l'undicesimo, fuori della cerchia, che li consideri grandi scrittori, inutile naturalmente mandar roba a "Play¬boy", al "New Yorker", ali'"Atlantic", a "Evergreen" perché si sa che quelli non distinguono il buono dal cattivo, giusto? "alle nostre riunioni leggiamo roba molto migliore di quella che pubblicano le grandi riviste messe insieme..." così gli aveva detto, tempo addietro, un fregnetto di quelli. mah, che vadano alla malora... quella notte, quando rientrò, alle tre e un quarto dopo mezzanotte, trovò tutte le luci accese, le persiane spalancate, e lei che dormiva sul divano col culo nudo in bella mostra, andò a spegnere le luci, a chiudere le persiane, poi andò a vedere la bambina, la piccola era sempre vispa e allegra, la donna non l'aveva ancora uccisa, in quei quattro anni, egli guardò la bambina dormire. Tina. un miracolo era, che riuscisse a vivere, a essere allegra, in quell'inferno, un inferno anche per lui. non poteva sopportare quella donna, niente da fare, e non solo lei. poche donne riusciva a sopportare, e anche lui ci aveva un sacco di difetti, tanti torti, incastrato ben bene, ficcato bene dentro e ribadito, ma la bambina, perché tocca sempre ai bambini andarci di mezzo? due soldi di cacio, incapaci di cavarsela da soli, incominciamo ad ammazzarli dal momento che escono dalla fica, ed è sempre la stessa solfa, fino a quell'altro buco, dalla parte opposta, si chinò a baciarla, nel sonno, ma quasi vergognandosi. quando tornò di là, la donna era sveglia, l'acqua su per il caffè, la sigaretta accesa, egli stappò una birra, che cazzo, sono matti tutti quanti. "sono molto piaciute le mie poesie, quelle lì che gli ho letto stasera," gli disse, "sono là, se vuoi dargli una letta." "senti, stella, son tornato dal lavoro col cervello squagliato "sono così felice, poi. non dovrei, però lo sono, sai quella rivistina di poesia che stampiamo noi del gruppo?" "ebbene?" "ecco, una copia è capitata fra le mani di Walter Lowenfels, che l'ha letta e ha scritto chiedendo chi ero io." "bene, mi fa piacere, veramente." ne era contento per lei. qualsiasi cosa che la rendesse felice, che potesse tirarla fuori dalla fossa dei serpenti. "Lowenfels ha buon gusto, se n'intende, naturalmente pende un po' a sinistra, ma del resto forse anch'io, è diffìcile dire, ma tu hai scritto della merda molto forte, questo è vero, lo sappiamo," egli disse. ella ne gongolò e lui si sentì contento per lei. voleva che vincesse, ella aveva bisogno di vincere, tutti, del resto, ne hanno bisogno, che gioco di merda. "ma lo sai qual è il tuo guaio?" alzò gli occhi: "quale?" "le stesse sett'o otto poesie." rifilava le stesse otto o nove poesie a ogni gruppo del quale entrasse a far parte, intanto che si cercava un altro uomo, un altro figlio, un'altra difesa. non mi rispose, poi disse: "cosa sono tutte quelle riviste in quella scatola là?" "il mio prossimo libro di versi, manca solo dargli un titolo e ribatterle a macchina, l'anticipo è già in viaggio, ma non mi va di ribattere a macchina le mie poesie, è una perdita di tempo, ripercorrere la stessa strada, non mi va. quella scatola è lì da sei mesi." "ho bisogno di soldi, quanto mi paghi?" "venti dollari, trenta, ma è una faticaccia. noiosa." "ci sto." "bene," lui disse, ma sapeva che non l'avrebbe fatto, non aveva fatto mai niente, otto-nove poesie e basta, bah, dicono che basta che scrivi un paio di buone poesie in vita tua e ci sei. ci sei dove? fra la merda, pensò.
...era il compleanno della bambina, veramente era passato da un paio di settimane, ma tant'è. prese Tina con sé e andò a fare delle compere, erano passati due tre giorni dal suo arrivo, il dottore le aveva tirato via l'unghia dell'alluce, le aveva dato delle fialette da bere ogni 4 ore. dover andare a far la spesa, cazzo, quando un uomo dovrebbe badare a sbronzarsi e cantare, quanto tempo sciupato, ma doveva tirare la carretta, così eccoli in giro pei negozi, dal pasticcere andarono a ritirare la torta, era venuta molto bene, la portarono via, Tina e lui, nella scatola rosa, poi andarono al supermercato per la carne, il pane, la carta igienica, i pomodori, dio sa che altro, il gelato sì il gelato, come lo preferisci, Tina? mentre il ciclo d'acciaio di Nixon ci sta per rovinare sulla testa, che gelato ti piace di più, Tina? quando rientrarono a casa, trovarono la poetessa elogiata da Walter Lowenfels tutta incazzata, che bestemmiava... si era messa a battere a macchina per lui quella raccolta di poesie, ma cos'era successo? era per via del nastro. "QUESTO CAZZO DI NASTRO NON FUNZIONA!" era molto incazzata, con quel vestito nero pacifista era bruttissima, più brutta che mai. "un momento," egli disse, "prima metto via la torta." entrò in cucina, seguito da Tina. cristo sia ringraziato per questa bambina, pensò, ch'è uscita dal ventre di quella donna, sennò a quest'ora l'avrei ammazzata, sia ringraziato dio, per la mia buona sorte, o magari Richard Nixon. o un altro qualsiasi di questi automi che non sorridono mai. poi tornarono di là, Tina e lui. lui sollevò il coperchio della macchina da scrivere, non aveva mai visto un nastro così aggrovigliato, indescrivibile, era successo che lei era andata a un'altra lettura di poesia, la sera prima, e qualcosa non era andato troppo bene, cosa, poteva solo tirar a indovinare: qualcheduno che essa voleva scoparsi non l'aveva scopata, o sennò uno che lei non voleva se l'era chiavata, oppure qualcuno aveva espresso delle riserve sulle sue poesie, ovvero qualcun altro, dopo averla sentita parlare, le aveva dato della nevrotica, quel che fosse fosse, era qualcosa che aveva a che fare con quei tipi là, quegli svitati, senza una via di mezzo, internamente ed esternamente, o splendenti e traboccanti d'amore fasullo o rannicchiati su se stessi, imbevuti di odio e tremanti. quand'era in quello stato, c'era poco che lui potesse fare, si sedette e rimise il nastro a posto. "e la 'S' non torna giù, RESTA ATTACCATA!" urlò la donna. non le chiese cosa fosse andato storto all'ultima riunione di poeti, niente elogi da un Walter Lowenfels, questa volta. andò di là nel tinello con Tina e tirò fuori la torta. BUON COMPLEANNO TINA. trovò i portacandeline, ci ficcò dentro le quattro candele, li sistemò sulla torta, poi sentì correre l'acqua. quella là faceva il bagno. "di', non vieni a vedere tua figlia che spegne le candeline? cazzo, sei venuta apposta dal Nuovo Messico. se non vuoi, fallo sapere, e andiamo avanti senza di te." "eccomi, vengo subito." "bene..." arrivò, egli accese le dannate candeline. quattro cazze di fiammelle sulla torta. Tanti auguri a te Tanti auguri a te Tanti auguri, cara Tina... e così via. quella roba zuccherosa, ma la faccia della bimba era raggiante, diecimila carati di gioia, non aveva mai visto niente di simile, gli toccò fare uno sforzo maledetto per non mettersi a piangere. "ora, ninetta, spegnile, ce la fai?" Tina si sporse e spense tre candeline, ma la candela verde teneva duro, e lui si mise a ridere, era buffo, lo trovava malto buffo, "mamma mia, non sei buona a spegnere la VERDE! come mai non la riesci a spegnere, la verde?" soffia e soffia alla fine ce la fece, e risero entrambi, egli tagliò la torta e poi la mangiarono insieme al gelato, sentimentalismo sciropposo, ma gli piaceva vederla felice, poi la mamma si alzò. "vado a fare il bagno." "ciao." ...di lì a poco tornò. "il gabinetto è intasato." egli andò a vedere, quel cesso non s'intasava mai, finché non arrivava lei. ci buttava dentro enormi ciocche di capelli grigi, malloppi di carta igienica, ammennicoli ficali vari, tante volte si era detto che era solo un'impressione sua, ma fatto sta che l'arrivo della donna e l'intasamento del cesso coincidevano sempre, e così pure la comparsa delle formiche e di stormi di neri pensieri di morte, e le nuvole di tristezza arrivavano insieme a lei. insieme a quella brava persona che odiava la guerra e odiava l'odio ed era per l'amore. stava per ficcarci una mano e tirar fuori tutte quelle porcherie, quando lei disse: "vammi a prendere un tegame." Tina disse: "cos'è un tegame?" e lui disse: "è una parola che alla gente piace, dirla, quando non trova nient'altro da dire, in realtà non esiste, non è mai esistito niente di simile a un tegame." "e che si fa?" domandò Tina. "adesso le porto una pentola," egli disse. le portarono una pignatta, ed essa sfottè il cesso per un pezzo, ma non successe nulla, il malloppo di roba gommosa ed eroica merda tenne validamente testa ai suoi ripetuti sforzi, il cesso gorgogliava e scorreggiava, ecco tutto, come scorreggiava sempre lei. "ora chiamo il padrone di casa," egli disse. "MA IO DEVO FARE IL BAGNO!" gridò lei. "va bene, fai il bagno, il cesso può attendere." lei allora aprì la doccia, ci rimase due ore buone sotto l'acqua, quello scroscio sul cervello le piaceva, le donava si¬curezza, a un certo punto egli dovette portar Tina a far pipì, la donna neanche se n'accorse, levava gli occhi al ciclo, la sua anima era in alto: la madre, l'amante della pace e della poesia, la donna sofferente, colei che non mangia uva. più pura della merda distillata, intanto la bolletta dell'acqua e della luce cresceva, l'acqua calda scrosciava sulla sua anima estatica, forse era questa la strategia del Partito Comunista: far diventare matti tutti quanti. alla fine riuscì a farla smettere e chiamò il padrone di casa, con tutto il rispetto per i languori del suo spirito poetico - Walter Lowenfels se la prendesse pure - a lui scappava da cacare, adesso. il padrone di casa fece in un momento: qualche colpo, plip, plop, del suo famoso sturalavandini dalla ventosa di gomma rossa, e il condotto fu sgombro, il padrone di casa se n'andò e lui potè cacare. quando uscì trovò la donna completamente intronata, allora le disse che avrebbe badato lui alla bambina, e lei andasse pure alla libreria, al casino o dove le pareva, per tutta la giornata e anche la notte. "bene, allora, torno domani verso mezzogiorno, con mia madre." la caricò in macchina e lui e Tina l'accompagnarono alla libreria, appena giunta là, l'odio lasciò il suo viso, la sua faccia si sdipinse di odio, ed eccola, mentre varca quella soglia, ch'è di nuovo tutta per la PACE, per l'AMORE e per la POESIA, per tutte le cose buone. disse a Tina di passare sul sedile davanti, la bambina gli prese una mano, lui guidava con l'altra. "ho detto 'ciao' alla mamma, voglio bene alla mamma." "ma certo, e la mamma ti vuoi bene, anche lei." la macchina marciava per le strade, con loro due a bordo, entrambi seri, lei quattro anni, lui un po' più vecchio, ai semafori rossi si fermavano, aspettando il verde, seduti l'uno accanto all'altra, era tutto quel che c'era. ed era molto.
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